Vito Vincenzo Di
Turi
Consulente
Storico-Giuridico in materia di Usi Civici
e Terre Civiche
Vito Vincenzo Di Turi
Per la presentazione del libro
Palagianello e il brigantaggio
Le vicende nei Comuni del Comprensorio
Terre delle Gravine
di
Giovanni D’Auria, Carmelo Luprano
ed Angelo Sponsale
Palagianello, Giovedi 26 settembre 2002
Aula Consiliare
Autorità, Signore e Signori,
era indecoroso sentire, anche dai nostri conterranei,
che il nostro era un Comune senza storia, per lo meno quella scritta.
Questo vuoto nella storiografia di Palagianello va ora
man mano colmandosi grazie alle ricerche di alcuni nostri concittadini ed a
contributi di altri, come il prof. Orazio Santoro. Suo è Palagianello prima
e dopo la rivoluzione napoletana del 1799.
Gli amici Giovanni D’Auria, Carmelo Luprano e Lillino
Sponsale, con la pubblicazione dal titolo:
PALAGIANELLO E IL BRIGANTAGGIO
hanno aggiunto un nuovo tassello per la conoscenza della storia di Palagianello
Grazie alle loro ricerche si è finalmente sollevato il
sipario su una parte della nostra storia:
il
brigantaggio
che
per Palagianello si configura con quella tutta meridionale; poiché identiche
sono le vicende che scatenarono il fenomeno.
Nella presentazione il prof. Mario Spagnoletti ha
posto il dito sulla piaga e sintetizza i motivi ispiratori del fenomeno, mentre
gli autori, fra l’altro, hanno fatto riferimento alla questione della
ripartizione delle terre demaniali, oggetto, sin da epoca remota, di massicce
usurpazioni da parte dei c.d. galantuomini che, in quanto a comportamenti, nulla avevano da invidiare agli ex baroni.
Della probabile
connessione fra questione demaniale e fenomeno del brigantaggio in Palagianello
ne avevo sentito parlare sin da piccolo, poiché Serafina Trisolini, sorella del
c.d. brigante Pasquale Trisolini, è la mia bisnonna, ovverosia la madre di mia
nonna materna, dalla quale ho avuto occasione di ascoltare le vicende intorno a
questo avvenimento, molte delle quali hanno trovato riscontro nei documenti
consultati, con certosina pazienza, dagli autori del volume che questa sera si
presenta.
Sia pure nel breve tempo che la circostanza consente,
dirò sommariamente delle nostre vicende demaniali, significandovi che il grado
di credibilità è garantito da un vistoso apparato di documenti chiari ed
inoppugnabili e da un’analisi dei fatti condotta, secondo il detto di Tacito, sine ira et sine studio, in
altre parole senza prevenzione e senza partigianeria.
Con la legge eversiva della feudalità le proprietà dei
baroni furono assoggettate al diritto comune e ai cittadini fu riconosciuto il
secolare diritto degli usi civici sulle proprietà feudali.
Scopo di quella legge
fu, fra l’altro, quello di convertire le terre feudali in proprietà allodiali,
distaccandone una parte in favore delle comunità, sulla quale i cittadini
esercitavano il secolare diritto di uso civico, con l’intenzione di attuare il
principio che mirava al miglioramento agricolo ed economico degli abitanti,
disponendone la suddivisione in favore della collettività.
Il Racioppi al proposito annota:
fu ordinato distaccarsi
dalla proprietà feudale una parte delle terre, e questa parte venne attribuita
al Comune non come patrimonio, ma come retaggio dei minori cittadini, a cui il
Comune doveva trasmetterla. Queste porzioni distaccate dalle terre feudali in
compenso degli usi civici, costituirono i beni demaniali del Comune, eredità
futura dei nullatenenti…
L’operazione
di suddivisione del demanio prese il nome di quotizzazione.
Per
quanto riguarda Palagianello, ben tredici anni dopo la divisione in massa,
ovverosia nel 1824, parte di queste terre furono quotizzate ed assegnate a 548
cittadini.
Con la quotizzazione, che nell’intenzione del legislatore doveva apportare un miglioramento agricolo ed economico degli abitanti, la realtà sociale dei cittadini di Palagianello non si trasformò sostanzialmente: la libera proprietà che doveva costituirsi era già sull’orlo del fallimento per difetto di alcuni provvedimenti che regolavano la gestione dei demani civici.
Con la quotizzazione, che nell’intenzione del legislatore doveva apportare un miglioramento agricolo ed economico degli abitanti, la realtà sociale dei cittadini di Palagianello non si trasformò sostanzialmente: la libera proprietà che doveva costituirsi era già sull’orlo del fallimento per difetto di alcuni provvedimenti che regolavano la gestione dei demani civici.
Ciò produsse un grave
squilibrio economico che, per alcuni - come quell’Angelo Ventrelli capo della
Guardia Nazionale – fu fonte di ricchezza.
Appena
sei anni dopo la quotizzazione - con la
quale, molto probabilmente, si volle coprire precedenti usurpazioni del
demanio - il sessanta per cento del
demanio Titolato era in possesso di tre persone, mentre la quasi totalità di
quello denominato Conocchiella era passato nelle mani di cinque persone,
imparentate fra loro attraverso una rete incrociata di matrimoni - vanificando la legge sulla divisione dei
demani, che nella mente del legislatore bonapartista era di formare una classe
di piccoli proprietari affezionati alla terra.
Si
assisté, infatti, allo stravolgimento dello spirito e della finalità della
legge.
La
mancanza di incentivi e di sgravi fiscali, almeno fino a quando le terre
quotizzate non avessero dato un minimo di reddito tale da permettere, specie
per i più miseri, il pagamento del canone infisso sulla quota, dettero l’avvio
alle manovre intese a spossessare i quotisti più indifesi, quasi tutti.
In
questo contesto si verificò in maniera virulenta uno strano fenomeno: quello
delle quote abbandonate.
Moltissime
quote, infatti, risultavano stranamente incolte ed abbandonate ed il “Casciere” comunale fu costretto a
registrare il mancato pagamento del canone che ogni originario assegnatario era
tenuto a corrispondere al Comune.
In
questa operazione grande peso ebbe il
Sindaco di Palagiano (è noto che dal 1806 al 1907 Palagianello è stato prima
Comune aggregato e poi frazione di Palagiano) il quale, con un comportamento
certamente non conforme alla legge,
assegnava graziosamente ed a suo piacimento le quote abbandonate a
cittadini di Palagiano spesso possidenti ed amministratori, stravolgendo lo
spirito della legge che aveva lo scopo di affrancare dall’indigenza, dopo
secoli di vessazioni feudali, le misere classi rurali e non già di impinguare
ulteriormente i possedimenti dei ricchi proprietari.
Con
questi meccanismi perversi venivano concesse ai maggiorenti le terre pubbliche
di Palagianello e questo avvenne sia in danno dei primi assegnatari, non
sappiamo fino a che punto colpevoli di abbandono, e sia a discapito di altri
cittadini di Palagianello che sarebbero potuto
essere favoriti dal sorteggio nella quotizzazione, poiché i terreni
cosiddetti abbandonati dovevano ritornare alla massa demaniale per essere
riassegnati ad altri cittadini.
Questo
significò il passaggio delle quote demaniali nelle mani di pochi e la
trasformazione dei quotisti da contadini poveri a “bracciali”, come si
diceva allora, per la qual cosa le speranze e lo spirito innovatore che doveva
apportare l’abolizione del feudalesimo non trovarono riscontro in quella realtà
sociale, giacché l’idea di dare “la terra a chi la lavora” - voluta e realizzata in parte nel periodo
1806-1825 - agli inizi della seconda metà dell’ottocento a Palagianello era
fallita
Proprio
in questo periodo si ebbe il rafforzamento del ceto dei cosiddetti “civili”
e dei possidenti, in altri termini di quella piccola borghesia rurale che era
costituita dall’ex fattore di campo, dall’ex massaro, dall’ex fittavolo poi
possessore dei terreni civici per graziosa determinazione del Sindaco, peraltro
espressione di quel ceto, le cui famiglie, sempre le stesse, si fecero strada
sia nell’ambito delle attività economiche sia in quello delle cariche
pubbliche, creando quella concentrazione monopolistica che andava sotto il nome
di nuovo feudalesimo.
Qui
questa nuova forma di potere, si innalzò a dignità di “categoria”, a
fatto eterno e ricorrente, nel quale, da sempre si celebra la facile vittoria
del prepotente sul debole.
In
questa situazione, dopo la caduta della dinastia borbonica ed il Plebiscito del
1860 per l’Unità d’Italia, si scatenò anche in Palagianello il fenomeno del
brigantaggio che certamente ebbe origini di natura politica ed economica,
incrementato soprattutto dalla delusione che le classi sottoposte ebbero dal
governo Unitario il quale aveva promesso benessere, riforma agraria ed
emancipazione sociale ed economica.
Non
fu così.
Le
favolose promesse non furono mantenute.
Il
governo unitario non capì, o non volle capire il fenomeno, creando fra
cittadini un clima di sfiducia che è sintetizzato nella frase che Domenico
Pugliese il 3 ottobre 1860 - discorrendo con Vitantonio e Francesco Aloisio
nella bettola gestita da Paolo Trisolini, padre del “brigante” Pasquale Trisolini - pronunciò:
Vassi a far fottere Vittorio Emanuele
e chi lo ha
fatto sedere alla sedia
Su
segnalazione del Capo Sezione della
Guardia Nazionale, Angelo Ventrelli, il Regio Giudicato del Circondario di
Mottola, con sentenza del 21 gennaio 1861, condannò il Pugliese a sette mesi di
prigionia ed al pagamento delle spese di giudizio per oltraggio al Re
Vittorio Emanuele e irrisione del plebiscito.
Per aver or ora ripetuto quella frase, conto di non
incorrere nei rigori della legge per lesa maestà.
Meglio - parafrasando il titolo di un libro di
Marcello D’Orta in circolazione qualche anno addietro –
Io, speriamo che me la cavo,
Grazie a voi tutti.
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